L’origine della chiesa risale alla fine del 1500, infatti esisteva un ospedale con annessa chiesa sulla Strada Regia verso Napoli già nel 1570 come si evince da una lapide in cui si pubblica, con bolla concessa da Papa Pio V l’11 gennaio dello stesso anno, l’indulgenza a coloro i quali, visitando la chiesa, recitassero un “Pater e un’Ave” davanti ai cinque altari oppure, confessati e comunicati, visitassero la chiesa nel giorno della natività della Vergine. Tale lapide è oggi visibile sul muro di confine con la scuola elementare all’interno del viale che conduce al campetto.

Lo storico Francesco Balzano invece racconta che l’ospedale con la chiesa fu edificato nel 1586 come dipendenza di quello degli Incurabili di Napoli dal nobile napoletano don Ferrante Bucca d’Aragona. L’antica chiesa in stile barocco era ad unica navata, ricoperta con una volta a botte e completamente decorata di stucchi. Sull’altare maggiore di marmi policromi intarsiati troneggiava il quadro del pittore napoletano Felice d’Acunto, raffigurante la Madonna col Bambino attorniata da fedeli supplicanti in ginocchio. Le suppellettili della chiesa ed alcuni oggetti sacri erano doni offerti dagli ammalati dell’ospedale e da benefattori.

L’ospedale invece era una costruzione massiccia, al quale si accedeva per mezzo di un largo portone evi era un’area scoperta a pozzo e luminose ed ampie corsie dove si è aggirato il santo medico Giuseppe Moscati. Dallo stesso don Ferrante fu costruita accanto alla chiesa dell’ospedale una cappella di S. Maria della Misericordia che ospitò la Congregazione dei Bianchi aggregata, nel 1612 dal papa Paolo V, a quella di S. Giovanni Decollato, dei Fiorentini in Roma, i cui confratelli, nobili e prelati, vestiti con camice bianco e cappuccio sul volto, s’incaricavano di accompagnare e confortare i condannati a morte. Nella detta cappella si riunivano gli Eletti delle Università di Torre, Resina e Portici per discutere i loro affari comuni. Sottostante alla chiesa vi erano due ampi locali che raccoglievano i resti mortali dei confratelli sacerdoti e dei professionisti. L’ospedale nel 1927 ottenne l’autonomia e fu riscattato dall’ente autonomo diretto dal medico agostino Maresca. La chiesa venne proclamata parrocchia nel febbraio 1929 dal card. Alessio Ascalesi avendo come parroco don Giuseppe Vitelli, cappellano dell’ospedale e membro del Consiglio di Amministrazione, e fu la prima parrocchia dopo la secolare guida pastorale di S. Croce. Il parroco Vitelli ottenne diverse concessioni, specialmente l’uso del salone che divideva la Parrocchia dalla Congrega di S. Giovanni Decollato adibendolo a sagrestia e ufficio parrocchiale.

I bombardamenti del 13 Settembre 1943 distrussero l’ospedale, la parrocchia di S. Maria del Popolo e la cappella di S. Giovanni Decollato, seppellendo sotto le macerie l’ antico organo a canne, la terra santa dei confratelli, tutto quello che decorava la chiesa. La nuova chiesa veniva ricostruita sull’area delle due precedenti e risultava perciò ingrandita.

Mentre i lavori procedevano la chiesa fu allestita in un garage nel cortile di Palazzo Vallelonga. Durante gli anni della ricostruzione, morto il parroco Vitelli nel 1946, glisuccederàil giovane don Filippo Eredità , il quale si interesserà di tutto il necessario. La costruzione, progettata dall’Ing. Armando Ventrella, a pianta poco più che quadrata sormontata da un’alta cupola in stile orientaleggiante, affiancata da un alto campanile terminante con cupoletta a maioliche colorate. L’interno, ampio e luminoso, è scandito da due file di grosse colonne che s’incontrano sotto la cupola formando una croce greca, cioè con bracci tutti uguali. L’altare maggiore è stato ricomposto con i marmi originari policromi recanti lo stemma con le iniziali SMDP e culminante con il quadro della madonna scampato ai bombardamenti.

Sulle pareti laterali vi sono affreschi del pittore Antonio Candurro raffiguranti a destra “S. Francesco d’Assisi” ( 1957 ) e “Il Battesimo di Gesù” ( 1958 ), mentre a sinistra “S. Giuseppe” ( 1957 ) e una grande lapide marmorea che ricorda 186 cittadini torresi morti nei vari bombardamenti aerei del 1943, realizzati grazie alla devozione di Basilio Liverino e Antonio Diaconale.

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